di Lucio Palazzetti
Vittorio Tebaldi (a destra) con l'amico Romeo Bartoccini. |
Questi giorni si è aggiunto ai
numerosi cagliesi che frequentano abitualmente Piazza Matteotti aggirandosi fra
i bar, le edicole, i gradini del Municipio, la barbieria di Brisigo e le solite macchine in sosta vietata, un nuovo personaggio,
maschio, non più giovanissimo, elegante e dai modi gentili e raffinati, con un
eloquio dialettale ineccepibile, del genere che non si riscontra oggi neppure
tra i cagliesi che si definiscono di razza più pura, se non fosse per qualche
occasionale scivolata catalana che rivela la sua attuale provenienza
dall’Argentina, dove vive da oltre sessant’anni. Si tratta di Vittorio Tebaldi.
Chi è Vittorio Tebaldi lo si capirà dall’intervista pubblicata qui di seguito,
tradotta con il suo aiuto da una rivista Argentina dove è stata pubblicata. Ma
com’è Vittorio Tebaldi bisogna frequentarlo per conoscerlo. L’ho già descritto
come una persona a modo, ma devo aggiungere che è anche una persona con la
quale si può parlare di quasi tutto, perché su quasi tutto lui è ben informato
e dimostra di avere sempre fatto tesoro delle proprie
conoscenze e di averle elaborate con spiccata capacità analitica, sintetica e critica. Insomma è una
persona colta, anche se la sua formazione culturale non proviene dai banchi di
scuola o dalla frequentazione di biblioteche. Lui possiede una cultura
costruita di giorno in giorno ascoltando per oltre cinquant’anni i commenti e
le dispute che i clienti della sua barbieria sostenevano continuamente, col
giornale in mano, su tutto: politica, attualità, cultura, sport, spettacolo,
arte e via dicendo. La sua barbieria in San Miguel, un importante centro nei
pressi di Buenos Aires, era molto ben frequentata, lui era intelligente e di
buona memoria e il gioco è fatto. Queste sue doti, unite ad una spigliatezza e
ad una intraprendenza non comuni, lo portarono a stringere rapporti
confidenziali e di amicizia con personaggi di spicco del mondo della politica,
della chiesa, dell’economia, della magistratura e si potrebbe continuare. Può
vantarsi – e quando lo fa gli vengono le lacrime agli occhi – di essere stato tra
i promotori e fondatori, e di essere stato per anni membro del consiglio di
amministrazione, dell’Università di San Miguel, oggi Università Nazionale che
vanta 18.000 iscritti. Ecco quindi com’è oggi Vittorio Tebaldi. Ma una volta,
oltre sessant’anni fa lui era solo un giovane immigrato, senza arte né parte,
sbarcato in Argentina in cerca di fare fortuna come tanti immigrati di oggi che
vengono in Italia da mezzo mondo in crisi. La sua storia potrebbe essere di
esempio per questi disperati in terra straniera, che da lui potrebbero imparare
che con l’umiltà, l’iniziativa, la buona volontà, l’onestà, il rispetto delle
regole, si può anche andare lontano.
VITTORIO TEBALDI, TESTIMONE DI VITA
Da Cuadernos de
Historia, San Miguel (Argentina), ottobre 2014
Intervista di Celia Sales de Dellutri (Traduzione di Lucio Palazzetti)
Vittorio Tebaldi e la sua Ford A del 1930. |
“Tutti dicevano che la mia barbieria era di un
orologiaio – dice Vittorio mentre accarezza con lo sguardo alcuni dei tanti
orologi che fanno parte della sua collezione – perché sono innamorato degli
orologi. Questo mio interesse è iniziato quando un orologio che avevo regalato
a mia figlia venne quasi distrutto da un orologiaio incapace. Mi recai a
parlare con Miguel Raab, un genio dell’orologeria, che mi insegnò i rudimenti
del mestiere. Le pareti della mia casa ora sono piene di orologi antichi a
pendolo, negli angoli ci sono orologi a colonna, comperati in aste pubbliche,
che io con pazienza ho restaurato. Avevo anche l’hobby più lucroso di comperare
auto usate che facevo riparare per rivenderle. Vendevo più o meno cinque
macchine al mese. Possiedo ancora una Ford A del 1931 che venne usata per le
nozze delle mie figlie e l’ho prestata agli amici quando si sposarono i loro
figli”.
“Arrivai in Argentina – continua
Vittorio – il 25 novembre 1952, proveniente da Cagli, dove nel 1947 era morto
mio padre di setticemia. Mia madre era quindi rimasta sola con tre figli, una
femmina e due maschi. Io ero il più piccolo e a dodici anni cominciai a
lavorare nella barbieria di Domenico Pieretti (Mimmo), dove cominciai ad
imparare il mestiere. Alla fine della seconda guerra mondiale la situazione
economica delle famiglie era molto difficile. Le entrate erano scarse, e da
Cagli molta gente emigrava. Mario Tebaldi, mio zio paterno, era emigrato in
Argentina già dal 1926, lasciando sua moglie Anna Grilli (l’Anna d’ Gabanacc’)
e sua figlia Lilia. Per tanto tempo la famiglia non ricevette notizie da Mario.
Un giorno venne un signore, Agido Luciarini, di ritorno dall’Argentina, che
ebbe una conversazione con Anna Grilli, durante la quale questa venne a
conoscenza che il Luciarini vedeva tutti giorni il marito di lei Mario, il
quale possedeva una grande barbieria in una città chiamata Villa Canas, in
provincia di Santa Fé, ma non poteva viaggiare perché non aveva a chi lasciare
la barbieria. Allora mia zia Anna venne a parlare con mia madre per proporle di
mandare me a trovare mio zio Mario in Argentina e disse che se io non mi fossi
trovato bene là, avrebbe provveduto lei stessa a pagarmi il viaggio di ritorno.
Allora mia madre e zia Anna scrissero a zio Mario affinché predisponesse i
documenti per potermi recare in Argentina. Quando partii per Buenos Aires avevo
appena venti anni. Il viaggio con la nave Castelverde durò diciannove giorni.
Era una nave da guerra trasformata in nave passeggeri. Durante il viaggio
conobbi un italiano che era venuto in Italia a trovare la famiglia e rientrava
in Argentina. Fu lui ad insegnarmi la lingua spagnola, di cui avevo appreso i
primi rudimenti da mio padre, che era vissuto 10 anni con persone di lingua
spagnola negli Stati Uniti. All’arrivo a Buenos Aires mi aspettava una signora
che aveva una procura per prendermi sotto tutela dal momento che, per la legge
di allora, a venti anni ero ancora minorenne. Venni così a conoscenza del fatto
che mio zio Mario era accompagnato con questa donna che lo aveva sostenuto nei
momenti difficili della integrazione in Argentina”.
“I primi dieci giorni a Buenos
Aires venni ospitato in casa della famiglia di Miguel Mateo Fulco, che in
seguito fu mio compare di nozze, dove venni accolto come un figlio. Dopo –
racconta Vittorio – mi trasferii a Villa Canas dove vissi con mio zio Mario e
la sua compagna per quasi un anno. Una notte rientrai tardi e mi chiusero fuori
casa. Allora decisi di andare ad abitare in un alloggio diverso, pur seguitando
a lavorare con mio zio Mario. La pensione era veramente fatiscente, si chiamava
“La Piemontesa” e il proprietario si chiamava Luigi Blangero. C’erano una
ventina di stanze in una baracca con il pavimento in terra battuta, il tetto in
lamiera e con un unico gabinetto in comune. Come letto io avevo una branda di
tela senza materasso e le altre tre persone che condividevano la stanza con me
si coricavano in terra su una pelle di pecora. Lì ho imparato a bere il “mate”,
la classica bevanda sudamericana, e a condividere le difficoltà con quei
poveracci. Ho vissuto più o meno sei
mesi in queste condizioni. Sebbene sia rimasto così poco tempo in Villa Canas,
ho ancora oggi la soddisfazione di rincontrare tanti amici di allora, con i
quali ci siamo voluti un gran bene”.
“La mia aspirazione era quella di
mettermi in proprio con una barbieria tutta mia – spiega Vittorio – per cui
durante le ferie, che erano obbligatorie per un mese durante il quale la
barbieria di zio Mario doveva chiudere, presi in affitto un’altra barbieria da
un certo Triticchio. Fu così che misi da parte i primi soldi per poter
realizzare il mio progetto di mettermi in proprio. Finché ricevetti una lettera
di mia madre che mi chiedeva di recarmi a Buenos Aires dove stava per arrivare
la nave Giulio Cesare. Lì avrei potuto incontrare un mio parente cagliese, Luciano
Pantaleoni, in servizio come capitano di lungo corso su quella nave, il quale
avrebbe potuto così portare a mia madre mie notizie. Ma l’incontro non fu come
mi sarei aspettato. Quando partii per Buenos Aires, tre miei amici di Villa
Canas, José Robea, Joaquìn Mateu e Francisco Ferrante, mi misero a disposizione
un prestito di tremila pesos, con la quale somma sarei potuto rimanere a Buenos
Aires. Allora, lasciato il porto, mi recai a salutare l’amico Miguel Fulco, che
viveva in calle Moreno 2141, vicino a Plaza del Congreso. Poi mi sistemai a
Quilmes con Romolo Sabatini, un sarto amico di mio padre che viveva con i
suoceri e cominciai a lavorare come meccanico. Poco tempo dopo ebbi
l’opportunità di affittare il locale di un calzolaio che stava per chiudere:
con i risparmi che avevo e con il denaro che avevo ricevuto in prestito
lasciando Villa Canas potei pagare anticipatamente l’affitto. In attesa di
entrare in possesso del locale per iniziare la mia attività, andai a lavorare
in una barbieria che stava a Bernal Oeste e mi sistemai in una pensione. Ben
presto, pur essendo ancora un giovane di appena ventuno anni, entrai così in
possesso di una barbieria mia. Acquistai presto molti clienti, l’attività
prosperò e solo un mese dopo potei andare a Villa Canas a restituire il
prestito. Le cose andavano molto bene e decisi di far venire mia madre in
Argentina. Preparai tutti i documenti e da una organizzazione che favoriva i
ricongiungimenti famigliari degli immigrati europei ottenni un sussidio per
coprire il costo del viaggio. Mia madre dapprima mi assicurò di venire, ma alla
fine mi inviò un telegramma per comunicarmi che non se la sentiva di
intraprendere il viaggio. Avevo affittato anche una casa vicino alla barbieria
e la stavo ammobiliando. La decisione di mia madre mi riempì di tristezza. Ciò
che lei aveva deciso di fare non aveva senso per me. Dona Maria Castella, la
proprietaria della pensione dove abitavo, che mi voleva molto bene e due miei
compagni, l’ingegnere inglese Carlo Clodes ed il suo connazionale Bruno Dri,
cercarono di consolarmi. Per farmi distrarre Bruno mi invitò ad un ballo in
maschera che si svolgeva in casa della sua fidanzata. Fu lì che conobbi
Adelaide Edit Chiesa, che in seguito diventerà mia moglie. Lei era vestita da
bahiana ed era di San Miguel, ma viveva con la famiglia a Quiemes. Ci
frequentammo un po’, poi ci innamorammo e dopo tre anni, nel febbraio del 1959,
ci sposammo. Ci stabilimmo a San Miguel e diciassette mesi dopo nacque la
nostra prima figlia. La chiamammo Maria Ersilia: Maria, come la proprietaria
della pensione che era stata come una madre per me, e Ersilia, perché questo
era il nome di mia madre. Il desiderio di conoscere la sua nipotina vinse le
resistenze di mia madre che decise di affrontare finalmente il viaggio in
Argentina. Arrivò a Buenos Aires il 25 novembre 1961, esattamente nove anni
dopo il mio arrivo in Argentina. Rimase sei mesi con la mia famiglia, poi
rientrò in Italia. Quando si congedò da me mi disse: “Posso morire felice
perché tieni una buona moglie, una figlia, un lavoro e molte persone che ti
vogliono bene, non tornare. Qui sei un signore.” Quattordici mesi dopo Maria
nacque Flavia, la mia seconda figlia. Io non potei più rivedere mia madre, ella
morì nel 1964. Ventitré anni dopo la mia partenza potei rivisitare per la prima
volta la mia terra nel novembre del 1975”.
“A San Miguel aprii una barbieria
in calle Italia 1073 e dopo cinque o sei anni inaugurai una barbieria in un
locale molto grande in calle Belgrano 1253, vicino alla Cattedrale. In seguito
vi aggiunsi un negozio di giocattoli, una tabaccheria, una rivendita di
biglietti della lotteria. Nei tempi migliori arrivai ad impiegare cinque
barbieri, una cosmetologa, una pedicure, una manicure e diversi commessi
addetti alle vendite. Ma sopraggiunsero delle difficoltà quando feci da garante
per un amico che ad un certo punto non poté onorare i debiti contratti. In
quelle circostanze per pagare tutti i creditori dovetti vendere sette
proprietà, compresa la casa di famiglia in calle Rodriguez Pena 1555, rimanendo
solo con la barbieria di calle Belgrano. Nonostante questa brutta esperienza
non allontanai l’amico, né gli serbai rancore. Durante una festa conobbi
Laurentis, il direttore della succursale in San Miguel del Banco della
Provincia di Buenos Aires, il quale nel corso della conversazione mi invitò ad
andarlo a trovare. Quando gli feci visita mi propose un credito: con questo
aiuto e con tanto lavoro riuscii così a ricompormi economicamente”.
“La disponibilità a effettuare
servizi di barbieria anche a domicilio, specialmente agli abitanti delle ville
del quartiere, mi permetteva di frequentare con la famiglia i migliori
ristoranti dei dintorni, luoghi di ritrovo per molti sanmiguelinos. Un altro
luogo d’incontro era la mia barbieria dove i miei clienti ed i miei amici si
ritrovavano per chiacchierare. San Miguel era un esempio di bella e tranquilla
città, la piazza era un giardino, controllata giorno e notte dalla vigilanza,
una città dove tutti si conoscevano, i rapporti erano personali, e dove non
esistevano porte chiuse a chiave. Qualche tempo fa – conclude Vittorio - la
professoressa Clara Biscaro mi chiese di scrivere una mia testimonianza come
immigrato. Lo feci affermando: “Sono un immigrato, però sento questa terra come
mia, non sono un estraneo per lei”.”